13 aprile 2015

Bolaño, le puttane e la ricerca della verità (impossibile)

Che cosa c'è di più indicibile di ciò che accade alla fine di una scazzottata violenta in un sordido bordello di Acapulco, lontano dagli alberghi per i turisti internazionali, in piena notte, dopo una lunga partita a carte nella quale uno straniero, che avrebbe dovuto rivestire il ruolo di vittima predestinata, ha vinto l'intera posta e ora se ne vuole andare, insieme al giovane figlio, portandosi via la vincita. Tutti possiamo immaginare le scene peggiori: lame di coltello, spari, se volete anche degli spaventosi sacchi nei quali fare sparire dei corpi, abbandonati in un cortile che con il buio è antro di sesso e mistero, ma che, con la luce dell'alba, non potrà fare altro che rivelarsi nella sua infinita miseria e inutile bruttezza, un posto ridicolo nel quale morire, un posto in cui morire sembra inevitabile. Già perché stiamo parlando di un racconto di Roberto Bolaño, Ultimi crepuscoli sulla Terra, testo meraviglioso, enciclopedico (nel senso delle suggestioni poetiche del suo autore), astuto, costruito, reticente. Insomma perfetto, anche e soprattutto nel decidere di fermarsi allo scoppio della rissa, lasciando, dopo averlo corteggiato in maniera quasi intollerabile per lunghe pagine, che nei fatti l'indicibile resti tale. 

Di Bolaño, ormai a tutti gli effetti una leggenda anche per il mainstream (e qui si dovrebbe aprire una parentesi infinita per provane a -non- capire la storia di un poeta abbastanza scadente che a un certo punto della propria vita e della propria malattia decide di mettersi a scrivere dei romanzi e dei racconti per 'fare soldi' e mantenere i propri figli, e così facendo segna una pietra miliare nella letteratura contemporanea... E' una storia lunga e soprattutto nota, ma ricordarla, specialmente se si sta parlando dei racconti di Bolaño è sempre utile), si è scritto moltissimo e ora che Adelphi ripubblica tutte le opere dello scrittore cileno il rischio è quello di pensare di essere arrivati, di avere capito tutto ciò che c'era da capire. E aprendo l'ultimo arrivato, la raccolta di racconti Puttane assassine del 2001, nella traduzione di una bolaniana doc come Ilide Carmignani, molte manifestazioni del talento e del mestiere dello scrittore appaiono chiaramente leggibili. Le storie sono trappole per il lettore, gorghi letterari nei quali si sprofonda in virtù della concessione di plausibilità che noi, con ingenua onestà, concediamo a Bolaño. Sia chiaro, trappole splendenti, nelle quali finire prigionieri è liberatorio e felice, ma pur sempre meccanismi narrativi in molti casi esposti, che il nostro occhio però, troppo impegnato a combattere contro il senso di minaccia incombente e a divorare il racconto, potrebbe scegliere di non vedere.

E quando il lettore smaliziato, seppur innamorato di Bolaño, incappa in una fase come "Le ore successive sono confuse", sa, lo sa con certezza, che queste cinque parole sono figlie dell'abilità affabulatoria del cileno. Ma poi, fermandosi un attimo a riflettere (centellinare la lettura di Bolaño può essere una buona strategia, prendersi delle pause, per quanto difficile), può capitare di accorgersi che, in realtà non si tratta solo di quell'utile fumo che si spara in aria per creare senso di mistero, bensì qualcosa che va più in fondo, che ha a che fare con l'effettiva difficoltà di percepire e vivere ciò che chiamiamo realtà... Insomma, vista sotto una certa angolazione e - direbbe W.G. Sebald - in certe condizioni di luce, la frase diventa assolutamente "vera", e Bolaño, come fanno gli scrittori di razza (provate a pensare per un secondo a Franz Kafka, solo per fare un esempio clamoroso) risponde attraverso una narrazione che potrebbe sembrare quasi di genere a domande che riguardano le esperienze private e individuali (spesso segrete, crediamo ingenuamente) di tutti noi. E soprattutto, e qui sta il meglio, lo fa alla maniera di Bolaño. Se fosse una operazione di marketing pianificata sarebbe il capolavoro definitivo. Ma, per fortuna (?), è solo letteratura.

"Mentre mangiano il padre di B guarda B come se cercasse una risposta. B regge il suo sguardo. Telepaticamente gli dice: non c'è risposta perché la domanda non è valida. La domanda è idiota". Quali che siano i contenuti di questo dialogo silenzioso è irrilevante, quello che conta è che il dialogo esiste e che, in buona parte, ci riguarda. Sempre.

04 aprile 2015

José Revueltas e l'invenzione della prigione: Le scimmie

La prigione era ovunque, raccontava Italo Calvino nel suo memorabile racconto Il conte di Montecristo, e ogni tentativo di evasione del suo abate Faria era surreale e grottesco, oltre che impossibile. Di questa impossibilità e dell'idea stessa di prigione, ha scritto in un testo del 1969 il messicano José Revueltas: Le scimmie, che ora viene pubblicato in volume in Italia dalle edizioni Sur. Un libro, breve ma poderoso, che diventa dimostrazione inoppugnabile e sconvolgente del modo in cui la lingua letteraria, una lingua in questo caso ricchissima, quasi tronfia di subordinate che ridanno senso a una parola come "discorso" (nell'accezione più profonda del termine), possa essere a tutti gli effetti una forza creatrice. "In principio era il Verbo", recita uno degli incipit più celebri e venerati di sempre, lo stesso vale per Revueltas e per questo suo libro, che sa essere fondativo anche se in realtà è arrivato alla fine della carriera dello scrittore, cinque anni prima della sua morte, a 62 anni, nel 1976.


La storia è minima: tre detenuti disperati, tre tossici in isolamento - Polonio, Albino e il Coglione - architettano un piano per farsi recapitare della droga. Finirà male, con un piccolo massacro, nel quale tanto i detenuti quanto i secondini - le scimmie del titolo, prigionieri a loro volta nel sistema detentivo di cui sono chiamati a farsi garanti - usciranno devastati e, inevitabilmente, sconfitti. Ma quello che conta, oltre alla prospettiva dello sguardo di Revueltas, è l'universo che il narratore riesce a creare, l'allucinazione indefettibile che sorregge ogni singolo passaggio del libro, quella spaventosa precisione realistica, che insiste sul dettaglio anche anatomico (come nel caso delle perquisizioni intime inflitte alle parenti dei detenuti al momento di entrare in carcere), ma che in fin dei conti crea un effetto complessivo straniante e, si direbbe dall'altra parte del continente americano, larger than life, più grande della stessa realtà che si propone, riuscendoci, di descrivere dall'interno.


José Revueltas, come senza essere molto originali si può anche supporre dal suo cognome, aveva la ribellione nel sangue e la sua biografia, di cui nel libro di Sur è presente una sintesi efficace firmata dalla curatrice Alessandra Riccio, è costellata di dissidenze e detenzioni. Comunista convinto, anche degli errori dei suoi, è rimasto a lungo una figura altra a ogni tipologia di sistema, fosse quello del potere in Messico oppure l'altra chiesa, quella che viveva all'ombra dell'ortodossia marxista, sovietica o castrista che fosse. E allora ecco la galera, anche in tarda età, dalla quale esce con il racconto Le scimmie, senza livore, senza sfoghi, ma solo con un oggetto letterario che è, come il suo autore, pura alterità, meraviglia inattaccabile, a suo modo verità definitiva. Scritta da un autore che, ovviamente, non crede in nessun modo che esista una verità definitiva. Qui sta il trucco e qui anche la vittoria, postuma quanto volete, di José Revueltas. Di lui la scrittrice e giornalista sua conterranea Elena Poniatowska, scrive che era una "immagine angelica che riflette sempre un Lucifero cangiante". Una definizione che si adatta perfettamente, volenti o nolenti, alla stessa Letteratura, e la elle maiuscola non è un refuso.


Ultima nota: leggendo Revueltas si sente vibrare la stessa energia che anima le pagine di un altro grande sudamericano venuto dopo di lui, il cileno esule Roberto Bolaño che a lungo a vissuto in Messico. Senza scomodare il mistero borgesiano dell'influenza, resta la certezza che i semi letterari gettati anche nei modi più eterodossi prima o poi daranno un frutto.