13 ottobre 2013

"La letteratura nazista" e la svolta di Bolaño

Forse non tutti i grandi scrittori vivono, nel corso della loro carriera, un preciso momento di svolta, un'epifania che, in un gioco di inversione proustiana, spalanca loro le porte del proprio futuro. Forse questo momento magico viene vissuto dallo scrittore con un'intensità che non traspare immediatamente nelle sue pagine, ed è possibile che ai lettori la rivelazione arrivi in un momento diverso, tendenzialmente successivo. Per questo, oggi, a dieci anni dalla sua morte, potrebbe non avere senso andare a cercare il momento esatto in cui un oscuro poeta cileno, uno che si ostinava a scrivere e a leggere poesia, si trasforma in un fenomeno della narrativa contemporanea, pronto a dare una decisa scossa alla forma stessa del romanzo come genere.

Quel poeta si chiamava Roberto Bolaño e, a essere onesti, i suoi momenti epifanici ufficiali sono la pubblicazione de I detective selvaggi, nel 1998 e quella, stavolta postuma ma clamorosa soprattutto per l'eco nel mondo delle lettere anglosassoni, di 2666. Dato che non possiamo sapere quando lui avverti quel "clic" nella testa  - che un collega importante e spesso accostato, ex post, a Bolaño come David Foster Wallace considerava segnale dell'ingresso nel territorio della buona scrittura - siamo però in grado di fare un ipotesi dal punto di vista della critica e della percezione dell'opera del cileno. E la sensazione è che le cose siano cambiate, nella forma e nella sostanza, con l'apparizione de La letteratura nazista in America, libro la cui concezione (o idea, o struttura se volete) era già da sola indice di uno scarto, di un salto di qualità e di quel muoversi solo all'interno di contesti imprecisi che, da quel momento in avanti - ed era il 1996, più o meno - sarebbero diventati una delle cifre della scrittura e della mitologia stessa di Bolaño.

Apparso per la prima volta per Sellerio, ora il libro torna nella Fabula di Adelphi, con un'illustrazione di copertina particolarmente efficace e, molto probabilmente, si prepara a conoscere un successo di pubblico che il libro non aveva sperimentato nella propria precedente esistenza. Ma la bellezza del testo, che in certi passaggi è quasi insostenibile (cosa non infrequente nell'opera dello scrittore cileno) sta per buona parte nell'asprezza comunicativa della sua composizione, nel suo giocare a essere un'antologia di biografie immaginarie di scrittori e scrittrici estremi come le loro posizioni politiche, nel suo non concedere nessun ammiccamento a questa scelta apparentemente manualistica. Non c'è quindi il respiro narrativo, né la possibilità di affezionarsi troppo a dei personaggi, come invece è inevitabile con gente tipo Ulises Lima o Lola Amalfitano, e neppure la consolazione di uno scioglimento finale.

La letteratura nazista in America nasce come libro in un certo senso ermetico e così appare anche oggi, dopo tutto quello che è accaduto alla vita e alla bibliografia di Roberto Bolaño. E proprio in questa sua non indulgente asperità c'è la forza e la bellezza di quest'oggetto letterario di difficile definizione, nella volontà esplicita dello scrittore cileno di fare questa cosa in questo modo. Qui, sul terreno dell'immaginazione di un nuovo approccio alla narrativa, Bolaño sembra avere consapevolmente gettato i semi del sua futura fortuna. Che la dinastia dei Mendiluce sia una versione in piccolo, e deviata, della famiglia Buddenbrook è interessante, ma non decisivo - in questa prospettiva, ovviamente - così come è spaventosamente bello leggere di Willy Schürholz, che ricostruiva nel deserto americano le mappe dei campi di concentramento di Hitler, ma ancor più bella è la cornice, la prospettiva dentro cui si vanno a incastonare le piccole perle biografiche di questa raccolta.


Qui ci sembra che nasca un nuovo Bolaño, uno scrittore che, facendo violenza alla propria indole in fondo mite, prende letteralmente a calci in bocca un certo tipo di letteratura, prima di sferrare, non molto dopo, il colpo del k.o. con i già citati detective Lima e Belano. E a quel punto il fosso lui lo aveva già saltato, ruzzolando nel (non sempre confortevole) campo della leggenda letteraria.