23 novembre 2011

L'ultimo Baricco, un romanzo fatto per piacere

Ad Alessandro Baricco tutti coloro che si occupano di comunicazione sulla cultura sono debitori per quello che ha fatto portando in televisione i libri con l'indimenticabile stile della sua trasmissione Pickwick. Un esperimento di divulgazione di alto livello che fu capace di conquistare molti non lettori e che resta, a distanza di anni, un modello ancora molto attuale di come si può parlare di letteratura anche sul piccolo schermo (tanto che perfino alla prima riunione di TQ si è espressamente citato questo modello, salvo poi lasciarlo cadere al momento delle scelte, per così dire, operative del gruppo). Oggi Baricco pubblica un altro romanzo, Mr. Gwyn, che Feltrinelli manda in libreria con una bella copertina non plastificata e che ha subito scalato la classifica dei bestseller.

La storia è, in buona sostanza, quella di uno scrittore di discreto successo, Jasper Gwyn da cui il titolo, che un giorno decide, insieme ad altre 51 cose, di smettere di scrivere, nella costernazione del suo agente letterario e, a ben vedere, suo unico amico. In sostituzione dei libri, Mr. Gwyn decide di scrivere "ritratti", ispirato proprio dai più classici dipinti, questa volta però fatti di parole. E per farlo allestirà un set ad hoc, con tanto di lampadine "fatte a mano", e musica di fondo creata da un grande compositore. L'esito di questi lunghe e complesse sedute di posa, i ritratti veri e propri, nel romanzo non li leggeremo mai, e questo è uno dei principali pregi del libro. Che però per molti altri aspetti sembra essere, nonostante l'indubbia bravura di Baricco nel creare situazioni letterarie (o talmente ben fatte da sembrare letterarie), un prodotto fatto proprio per piacere, con molti spunti affascinanti e molti, forse troppi, personaggi artefatti. Non si fraintenda: la lettura è piacevole e coinvolgente, ma se solo si aguzza un po' la vista non si può fare a meno di notare che la stucchevolezza è spesso dietro l'angolo. Come se per essere un Bartleby, ossia uno che rinuncia senza un particolare motivo più o meno a tutto, si debba per forza essere stereotipati o radicalmente chic...

In questo romanzo, ma un po' in tutto Baricco, le cose "vere" riescono ad accadere solo in contesti particolarmente sofisticati ed elitari (lo studio di Mr. Gwyn, le sue lampadine "infantili", la sua costosissima musica di fondo). Come se lo scrittore fosse clamorosamente sfiduciato verso l'umanità, ma con una sfiducia molto snobistica. Pensiamo invece, per esempio, a David Foster Wallace e al suo postumo Il Re pallido, uscito pressoché contemporaneamente a Mr. Gwyn: qui avviene esattamente l'opposto, ossia i personaggi arrivano a scoprire quelle che potremmo definire "verità" - sempre molto provvisorie, com'è giusto che sia - proprio attraverso i contesti più banali e meno letterari che ci si possa immaginare, come per esempio l'ufficio dell'Agenzia delle entrate di Peoria, Illinois. E qui pare di trovare una certa fiducia, magari volontaristica, nelle possibilità delle persone, anche le meno interessanti. Alla fine Mr. Gwyn, attraverso il bellissimo personaggio di Rebecca - che riesce a essere difficile da dimenticare nonostante il fatto che Baricco continui a sottolineare che è "grassa", come se questo fosse un aspetto morale e inalienabile - ci fa capire che noi tutti siamo delle storie, articolate, disperse, uniche. Tutto molto bello e molto vero, anche se il mistero di una storia ben confezionata, a volte, risiede anche nei suoi non detti e nei suoi non risolti.