02 luglio 2007

Le braccia forti di Phil

“Ciò che fa grande una storia è l’elemento umano”. Phil LaMarche, 31enne scrittore statunitense che debutta in Italia con il suo primo romanzo “American Youth – Un omicidio involontario” (Bompiani), ha le idee chiare su ciò a cui deve puntare la letteratura: descrivere la condizione umana. Timido e pacato, ma con braccia forti - nella tradizione dei più solidi scrittori dell’America rurale – Phil LaMarche, a Milano per il lancio del suo libro, ha scritto un romanzo di formazione d’impianto classico, che però prova a fare luce su alcuni aspetti controversi della realtà americana come la diffusione delle armi e le bande giovanili politicizzate. “American Youth” è infatti il nome di un’associazione di giovani conservatori che avvicinano il protagonista del romanzo, l’adolescente Ted LeClare, dopo che questi viene messo sotto inchiesta per l’omicidio di un coetaneo, ferito a morte da un colpo partito dal fucile del padre di Ted, seppur sparato dal fratello della vittima. Ma su Ted pesa il sospetto di avere mostrato l’arma ai due amici e di avere caricato il proiettile fatale. Nel periodo necessario per lo svolgimento delle indagini di polizia il ragazzi attraverserà la propria linea d’ombra e, non senza sofferenze, arriverà a diventare più maturo e consapevole.

Le recenti stragi nei campus universitari degli Stati Uniti hanno portato una volta di più sotto i riflettori della cronaca il tema del possesso delle armi. Nel romanzo di LaMarche però emerge anche un aspetto di cui in Europa si sa poco, ossia il forte legame che unisce molta gente comune, non dei fanatici estremisti, alle proprie armi. “Quando mio padre ha lasciato casa nostra per trasferirsi per lavoro – ha raccontato LaMarche – mi ha messo un fucile sotto il letto e mi ha detto di usarlo nel caso la nostra famiglia fosse stata minacciata. Vivevamo soli in una casa di campagna e l’arma rappresentava una forma di protezione”. Dalle pagine del romanzo, poi, emergono altri aspetti di cui dall’altro capo dell’Atlantico forse si parla poco, come il senso di legame con il passato che le armi trasmettono. “C’è un’idea di tradizione – ha aggiunto LaMarche – quando Ted prende in mano il fucile del nonno e sente di avvicinarsi alle proprie radici”. Un altro tema d’attualità nel romanzo sono i gruppi giovanili ultra-conservatori che si muovono tra richiami allo spirito originario degli Stati Uniti e atti di vandalismo. “Questi gruppi – ci ha detto LaMarche – sono comunque delle piccole minoranze e nel mio romanzo volevo mettere in evidenza il loro essere in fondo impotenti, vorrebbero essere violenti ma non sono abbastanza capaci per riuscirci davvero”.

Accostato dalla critica a Cormac McCarthy, LaMarche si avvicina all’illustre collega nella capacità di raccontare un mondo fatto per gli adulti che è però popolato di ragazzini. “McCarthy – dice il romanziere – ha uno stile più forte e accattivante del mio, e al momento scrive cose ideologicamente più interessanti. Quando leggo i suoi libri, o quelli di Hemingway, Faulkner o Flannery O’Connor, cerco di prendere qualcosa da loro e di rielaboralo a modo mio. In fondo – ha ammesso LaMarche – credo che sia vero l’aforisma che dice che i libri sono fatti di altri libri”. Ma accanto alle suggestioni dei grandi autori il romanzo nasce anche dall’esperienza diretta dello scrittore che, da buon docente di scrittura creativa, ha ben chiari i processi che portano alla creazione di personaggi attendibili: “Ho attinto dalla mia esperienza personale – ha spiegato LaMarche – ma poi ho dovuto permettere ai personaggi di diventare qualcosa di diverso e indipendente. Ho alzato il volume delle mie emozioni per dare maggiore drammaticità alla storia. In pratica ho esteso la mia vita”.

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