13 maggio 2007

Ivato Airport

Il buio è diverso, ad Antananarivo
L’aria fuori dal Jumbo sa di umidore
Le luci sono fioche e il mondo lontanissimo
Soltanto la Via Lattea splende

Era qui che dovevamo arrivare
Mi dici con gli occhi in fiamme
Credo di sì
Io ti rispondo
Ed io ti ho amato mentre parlavi con un fisiatra
Di Melegnano
Che aveva girato tutta l’Africa
Con sua moglie francese
E il visto a 15 dollari
E le guardie di frontiera che sembravano bambini
Come nei sogni, le proporzioni erano irregolari
E ciò che ti aspettavi grande era minuto
Ma il cielo, quello sì, restava immenso

Abbiamo preso un taxi, l’autista era sfregiato
Forse dal labbro leporino
E il suo francese divertente, “merscì” diceva per ringraziare
Fuori la notte che non immaginavo
Dentro noi due sperduti nel cuore del Madagascar

Era qui che dovevamo arrivare
Mi hai detto
E io non ti vedevo seduta accanto a me
Era qui che volevamo arrivare ti ho risposto
Parlando alla notte
E tu mi hai preso la mano

Mi chiamo Riccardo Monzelletti
Tra pochi giorni avrò 35 anni
La stessa età, se non ricordo male,
di Dante, quando intraprese il viaggio nella Commedia

Mi chiamo Riccardo Monzelletti
Tra pochi giorni avrò 35 anni

Mi chiamo Riccardo Monzelletti.

12 maggio 2007

Ancora su Safran

Oltre a essere un magnifico scrittore, mi sono accorto che Jonathan Safran Foer è anche un sarto, un piccolissimo sarto che con le sue quasi invisibili forbici fatte di parole si insinua sotto la mia pelle emotiva come un acaro e me la taglia e sfila centimetro dopo centimetro, lasciandomi completamente indifeso davanti alle enormi emozioni che “Molto forte, incredibilmente vicino” scatena. E l’ondata che a quel punto mi travolge è assoluta e incontrollabile. La tempesta perfetta. Come essere nudi nella bufera, e sentire ogni singolo fiocco di neve sulla propria pelle. Unico, anche meraviglioso. Solo che si rischia di restare assiderati. E Safran, in questo incapace di compromessi, ci prende, ci sconvolge, ci frulla nella sua prosa elegante e imprevedibile, quindi ci scaglia lontano, in territori sconosciuti, dove fatichiamo a riprendere il contatto con la realtà, una volta che – volenti o nolenti – dobbiamo chiudere il libro.

Kilgore non riesce a smettere, la vita cartacea prende il sopravvento su quella reale e lo vediamo aggirarsi per le vie di Milano con gli occhi fissi sulla pagina. Prima o poi prenderà un palo in faccia, ma forse sarà tanto preso da Safran che non sentirà neppure tanto male.

(La vita con la V maiuscola dove sta? A leggere Safran verrebbe voglia di rispondere “Nei libri”. Ma potrebbe anche essere una risposta pericolosa. Kilgore lo sa, ma non baratterebbe il suo essere lettore con nient'altro).

Post Scriptum per Maria Adele: non ti ringrzierò mai abbastanza per avermi fatto leggere un libro che mi ha fatto scendere due lacrime perfino durante un pranzo al Cantinone. Forse c'è speranza che il mondo migliori.

Post Post Scriptum:

Barcollo, come ubriaco, per piazza Repubblica
Stordito dalla prosa di Safran Foer
E penso che sia vero,
che qualunque cosa vale la pena
che tutto è nostro, se lo vogliamo
che in fondo a quella scatola dove tenevo
delle fotografie sbiadite
ci sono pure delle risposte
che ogni libro parla esattamente di me
che le ragazze sono tutte un sorriso
che la città ti rende quello che ha preso
prima che venga sera

10 maggio 2007

Essere Oskar Schell

Devo alla mia carissima amica Maria Adele la scoperta di Jonathan Safran Foer. O meglio, chi fosse e cosa avesse scritto mi era ben noto, ma è grazie a lei che ho deciso di leggerlo. E grazie a lei sono rimasto folgorato dalla bellezza quasi insostenibile di “Molto forte, incredibilmente vicino”. Confesso di essere un vero neofita di Safran, finora ho letto solo 120 pagine del suo secondo romanzo, ma sono state sufficienti per convincere Kilgore di essere di fronte a uno scrittore di immenso talento.

Al centro del romanzo c’è un bambino (“ragazzino” dice lui almeno in un’occasione) geniale e problematico, alle prese con la morte del padre e la scoperta di una vita che è fatta di lettere a Stephen Hawking ma anche di segreti dolorosi. Ma quello che più colpisce dell’intraprendente Oskar Schell è il suo essere un personaggio universale. Le sue stranezze sono le nostre, il suo peregrinare per le vie di New York siamo noi che camminiamo in tutti i posti del mondo, il suo affetto per la nonna è l’essenza di ciò che – in fondo alla nostra natia ingenuità – dà un vero senso all’esistenza. Oskar ha sette anni, fa cose strane, vive di manie. Eppure è stupefacente come Safran ci faccia capire che in fondo lì c’è già tutto e che se non sentiamo il bisogno di essere Oskar finiremo per impazzire. E proprio nell’essere pazzi come lui si può trovare un barlume di senso nelle cose che accadono intorno a noi.

Safran Foer scrive magnificamente e, per quanto straordinarie siano le storie che ci racconta, alla fine è la sua scrittura a catturare, è la sua cadenza a farci desiderare di leggere non tanto per scoprire cosa succede, ma per vedere come lui lo racconta. E la cosa che più colpisce è capire che Safran, pagina dopo pagina, frase perfetta dopo frase perfetta, sta parlando esattamente di noi.

Come tutta la grande letteratura - e di questo Kilgore è radicalmente convinto – anche Safran ci restituisce una fotografia della vita che è molto molto molto più reale di quello che ciascuno di noi sperimenta ogni giorno. Senza paragoni. Questo pensiero ogni volta mi colpisce in profondità e mi convince che il tempo che dedichiamo ai libri – e alla loro folle malia – non è sottratto alla “vita”, ma è vita a un altro livello, che in certi fortunati casi, come quello di Jonathan Safran Foer, si rivela essere anche un alto livello. Grazie Mimì per i tuoi preziosi consigli, ti devo un favore.