12 aprile 2007

Good bye Tralfamadore

Kurt Vonnegut è morto oggi a 84 anni. Aveva picchiato la testa cadendo in casa e nell'incidente aveva riportato danni cerebrali che si sono rivelati fatali.

Per Kilgore è come perdere un padre: il nostro modesto magazine deve infatti il proprio nome a un personaggio, forse IL personaggio, creato dalla mente di Vonnegut. Kilgore Trout. Scrittore di fantascienza fallito che vive ai margini della società e che vede pubblicizzati i propri libri - lucidi deliri intitolati per esempio "Ora si può dire" - con fascette che allettano il lettore con frasi del tipo "All'interno tope spalancate". Kilgore Trout che insegue il suo creatore implorando furioso: "Fammi giovane". Kilgore Trout a cui sui piedi si applica una patina azzurrognola d'inquinamento e che nella sua vita ha ricevuto una sola lettera di ammiratori nella quale Eliot Rosewater si augurava che fosse nominato "presidente del mondo". Ecco, questo è Kilgore Trout, e questo siamo noi, ed è anche Kurt Vonnegut. L'abbiamo già scrito, lo ripetiamo: "Dio la benedica, mister Vonnegut".

Nel suo ultimo libro apparso in Italia Vonnegut scriveva: "Non c'è motivo per cui il bene non possa trionfare sul male, se solo gli angeli si dessero un'organizzazione ispirata a quella della mafia". Difficile dargli torto.

In uno dei suoi romanzi c'è una pietra tombale sulla quale il defunto ha voluto che fosse scritto "Ci provò". Idealmente anche noi - da oggi un po' più orfani - vogliamo scrivere la stessa frase per Vonnegut e deporre un fiore nel suo prato. E dietro a Kilgore ecco che sfilano tutti gli altri personaggi: da Billy Pilgrim a Circe Bernam, da Rabo Karabekian a Dwayne e Celia Hoover, da Howard J. Campbell a Terry Kitchen. E chiediamo scusa a tutti gli altri che, forse vinti dalla commozione, abbiamo dimenticato. Ma sono comunque tutti in fila qui dietro per dire ciao al buon vecchio Kurt.

Così va la vita.

09 aprile 2007

Before Landing

Un nastro di luce si batte
Contro la notte che incombe
E l’allontana, forse sogna di vincerla
Ma in fondo soltanto allunga
Dolce l'agonia vespertina

Le città sono ragni arancione
Ideogrammi alieni
La cui geometrica determinazione
Si perde incomprensibile
Nella stratificazione urbana
Che ne ribalta la prospettiva

Nel mio di buio
(si atterra infatti a luci spente)
Io provo a non dimenticare come si scrive
Il tuo e molti altri nomi
Che giorno dopo giorno vedo affannare
Oltre la siepe - e la distanza - di un libro

Ritratti e identità

Una mostra per scoprire come sta cambiando il ritratto fotografico e anche per riflettere su come si evolve il volto umano. "Faccia a faccia", esposizione curata da William Ewing in corso presso il Centro internazionale di Fotografia Forma di Milano, è un viaggio attraverso le ultime tendenze della ritrattistica, che spesso abbandona il terreno del naturalismo per entrare nel campo della sperimentazione e della manipolazione digitale. "Negli ultimi anni - ha spiegato il curatore Ewing - il corpo ha perso centralità nell'attenzione dei fotografi ed è stato sostituito dalla sua parte più importante: la faccia. Ora il volto è però inteso come un paesaggio da investigare, che oltretutto sta cambiando molto in fretta grazie alla chirurgia plastica e all'ingegneria genetica, ma anche per i mutamenti legati alle diverse teorie sulla nutrizione". Il volto, insomma, nuovo campo di battaglia della ricerca artistica dei fotografi, che sperimentano e ricercano nuove forme di interpretazione. Cui Kilgore guarda con grande interesse.

La mostra milanese presenta oltre 100 opere di 40 fotografi e il percorso parte idealmente da uno scatto di Robert Walker, reporter di strada, che ha bloccato una serie di volti di persone reali stretti tra i quelli, patinati e irraggiungibili, della pubblicità. "E' una sorta di anticipazione del futuro - ha spiegato Ewing - quando sceglieremo su dei cataloghi gli occhi, il naso e la bocca dei nostri figli". La tipologia di ritratti presentati allo spazio Forma è vastissima: dalle fotografie mediche per documentare delle patologie oculistiche ai ritratti dei cadaveri - inaspettatamente sereni - in una camera mortuaria; dalle fotografie di brandelli di carta colorata che ricordano le fattezze di un viso alle immagini multiple e sovrapposte. Tra queste ultime spicca il sorprendente "Volto del 2000", un'opera di Chris Dorley-Brown che ha elaborato in un unico viso i volti dei 2000 abitanti di un villaggio inglese, con età compresa tra i due e i 70 anni. Il risultato è straordinariamente armonioso perché, come ha spiegato Ewing, "più è alto il numero di soggetti che compongono il ritratto più è bello il risultato, perché il nostro concetto di bellezza si basa sulla media".

Le suggestioni e i percorsi artistici documentati dalla mostra sono numerosissimi, tra quelli di maggiore impatto spiccano i ritratti dei grandi del mondo firmati dal ceco Jirì David che ha ricercato, con grande fatica, immagini ufficiali nelle quali i vari Bush, Blair, Chirac, Putin e Berlusconi non apparissero forzatamente sorridenti e quindi, con un misto di manipolazione digitale e intervento pittorico, ha arrossato i loro occhi e vi ha aggiunto le proprie lacrime. Il risultato è di grande impatto e, spiega Ewing, "benché si tratti di finzioni, queste fotografie appaiono molto più vere delle immagini ufficiali". Di forte valenza "politica" anche gli scatti di Suzanne Opton, che ha lavorato con dei soldati americani: i suoi ritratti, che volevano essere il più possibile distanti dalla rigida marzialità, mostrano i giovani con la tempia appoggiata a terra, senza difese e senza pose. "Vittime sacrificali" - ha detto Ewing - che sembrano attendere il colpo mortale.

La tecnologia digitale interviene nel lavoro di molti tra gli artisti esposti: si possono ricordare le fotografie riprese con il cellulare da Virginie Otth, sorta di ritratti rinascimentali che poi, stampati in grande formato, mostrano tutti i limiti della tecnologia. Oppure lo scatto di Mathieu Bernard-Reymond che ha prima ritratto una signora con pellicola tradizionale, quindi ha scannerizzato l'immagine e l'ha fatta reinterpretare da un programma che genera paesaggi: il risultato è una figura intera calata in un panorama simile a un deserto che in realtà rappresenta il suo stesso volto. Un gioco di specchi virtuali che sintetizza i numerosi spunti di riflessione, anche al di là della fotografia, che la mostra milanese innesca.