07 giugno 2006

La letteratura inglese, alla Borges

Nel 1966 un professore pressoché cieco tenne un corso completo di lezioni sulla letteratura inglese all’Università di Buenos Aires. L’insegnante, che quasi come Omero declamava a memoria un gran numero di versi e citazioni, era Jorge Luis Borges, oggi riconosciuto come una dei più grandi scrittori di tutto il Novecento. Quelle lezioni, che spaziano dalle origini della lingua inglese al tardo romanticismo, furono registrate e quindi trascritte dagli studenti e ora sono diventate un libro, curato da Martìn Arias e Martìn Hadis ed edito in Italia da Einaudi: “La biblioteca inglese”.

“Quel che Borges professore pretende – spiega Arias nell’introduzione – più che far progredire gli studenti, è suscitare il loro entusiasmo e condurli alla lettura delle opere e alla scoperta degli scrittori”. Si capisce dunque che le lezioni presentate, lungi dall’essere una fredda analisi storico-tematica, si presentano, proprio come molte delle opere narrative di Borges, come un viaggio affascinante e ricco di richiami alla letteratura universale.

Le 25 legioni tenute dal grande scrittore argentino toccano i temi più svariati, e sono sempre animate da passione e capacità di offrire letture originali dei testi. A proposito del poema epico medievale “Beowulf”, Borges ne mette in luce l’attenzione per “l’ospitalità, la cortesia, i regali, i giullari: insomma, quello che attualmente chiameremmo la vita sociale”. Parlando di Samuel Johnson, e del suo carattere non facile, Borges sfodera anche la propria proverbiale ironia: “Per un certo periodo fu interessato al tema dei fantasmi. E ne fu interessato a tal punto che trascorse alcune notti in una casa deserta per riuscire a incontrarne qualcuno. Sembra che non vi riuscì”.

Straordinarie, poi, le pagine dedicate a Samuel Taylor Coleridge e al sogno che gli ispirò i versi del poema “Kubla Khan”. Dopo aver ricevuto in sogno un intero poema, racconta Borges agli studenti che immaginiamo rapiti, Coleridge si accinse a trascriverlo: “Scrisse una settantina di versi, e giunto a quel punto ricevette la visita di un signore della vicina fattoria di Porlock. [...] La visita durò un paio d’ore, e quando Coleridge riuscì finalmente a liberarsi di lui e cercò di riprendere la scrittura del poema che il sogno gli aveva dato, si rese conto di averlo dimenticato”. E così l’opera rimase incompleta. Ma non saremmo al cospetto di Borges se la storia non avesse un seguito: e infatti lo scrittore argentino ci racconta anche che parecchi anni dopo la morte di Coleridge venne pubblicato il libro di uno storiografo persiano – che il poeta inglese non poteva avere letto – nel quale era scritto che “l’imperatore Kublai Khan aveva costruito un palazzo e che lo aveva fatto erigere secondo un progetto che gli era rivelato in sogno”.

Al termine dell’itinerario inglese di Borges un ultimo consiglio agli studenti, che ci dà la cifra dell’insegnante: “Se un libro vi annoia – scrive – abbandonatelo; non leggete un libro perché è famoso, non leggete un libro perché è moderno, non leggete un libro perché è antico. Se per voi un libro è noioso, lasciatelo, anche se si tratta del ‘Paradiso perduto’ o del ‘Chisciotte’ – che per me non sono noiosi. Ma se per voi un libro è noioso, non leggetelo; significa che quel libro non è stato scritto per voi”. La conclusione possibile è una sola: Borges, anche in questa veste inedita di vate-docente, fa bene alla nostra vita. (l.me.)

Nessun commento: